28.2.11

Differenze tra lo smarketing in generale e quello per il teatro

Anteprima del capitolo sullo smarketing teatrale nel "Manuale di Smarketing" in corso di redazione redatta per il corso di Smarketing di Udine in dicembre 2010



La dieta mediatica degli italiani è quasi esclusivamente televisiva; il tradizionale marketing, per quanto riguarda il teatro, può facilmente accodarsi alla TV portando sul palcoscenico personaggi, format e clichet che la TV ha inculcato.
Anche la promozione segue conseguentemente la logica degli spot televisivi quando si estendono sui quotidiani e sulle affissioni esterne, cosa che porta un po' di pubblico solo se ci spendi più soldi di quanti ne rende la pubblicità. Al botteghino funziona ma mortifica la cultura teatrale massificandola, riduce il ventaglio delle proposte culturali, mortifica la ricerca e alla lunga rinforza i forti e indebolisce i deboli.
Lo smarketing vuole fare l'opposto: incontrare quelli che non guardano la TV tutte le sere e allearsi con loro, rinforzandoli e incoraggiandoli; è una riconquista di spazi (della città serale desertificata perché i suoi cittadini stanno tutti sul divano a lobotomizzarsi) e di tempi (delle ore di non-televisione da intendere come tempo liberato, di decolonizzazione dell'immaginario e di socializzazione).
Così, mentre il marketing commerciale vende il suo prodotto (anche teatrale) lo smarketing promuove non solo quella compagnia o quel palcoscenico, ma anche lo stile di vita e le relazioni sociali di una dieta mediatica più sana, civile e variegata.


Nei corsi di smarketing per il teatro in programmazione tra fine 2010 e prima metà '11 (per ora con l'E.R.T. del Friuli V.G., con la Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano e con molti teatranti che vengono ai corsi generici) suggerisco sostanzialmente le stesse tecniche che ci sono in questo libro.
Le tecniche sono simili a quelle generali, ma cambia

- il loro bilanciamento (radio e internet sono vitali),

- il loro senso (dev'essere più poetico, più evocativo),

- l'importanza delle PR prima dello spettacolo (programmatori, critici...)

- e quella del passaparola dopo (il pubblico deve diventare il tuo testimonial).

I media che informano su “cosa fare stasera” sono da sempre importantissimi: fino a pochi anni fa c'erano solo il giornale e le locandine nei bar; poi è arrivato internet, ora diventano ancora più strategici le navigazioni sui telefonini (benché più complessi del PC, per questa funzione diventano rapidamente più popolari e di massa). Nelle città dove questi canali non ci sono, è necessario crearli, oggi è più facile proprio con le tecniche dello smarketing, soprattutto attraverso il web.

Competenze extrateatrali del teatrante

Troppo spesso ho visto questa situazione: attori, registi, musicisti di grande cultura e sensibilità sulla scena che appena devono esercitare un minimo di buon gusto su un altro medium (scegliere una foto, scrivere dieci righe di testo, impostare un volantino, intervenire su un blog...) si comportano in modo sciatto e distratto, si presentano quasi per scelta come se fossero degli analfabeti, dei tamarri o dei bigotti.
Per questo perdono pubblico e ingaggi; sprecano così gli scarsi spazi di visibilità di cui possono godere; la loro vita ne risente in soldi e motivazione. Per vivere hanno bisogno di un agente o di qualche forma di intermediazione che li rende meno liberi a tre livelli: psicologico, commerciale ed artistico.
Siccome capita anche a gente che stimo e amo, dotata di buon spessore umano e vispa intelligenza, non posso liquidare la questione come se fossero degli stupidi o degli ignoranti. Specialmente perché altra gente di quello stesso mondo, che valuto meno empaticamente e culturalmente, è invece abile e “professionale” nel montare il proprio marketing, nel tessere i rapporti con programmatori e i critici, insomma nel mettere in scena le proprie messe in scena in modo che paiano migliori di quanto sono in realtà.

L'arte multimediale per eccellenza, dalla selce al silicio

Il teatro, come anche la musica dal vivo, è un'arte cross- e trans-mediale dai tempi più remoti.
All'inizio della storia umana, quando le arti erano indifferenziate, tutto era teatro; perfino la pittura rupestre: probabilmente veniva disegnata dallo sciamano alla fine della trance dopo il viaggio nel mondo dei morti, che la danzava, mimava e cantava mentre narrava i messaggi simbolici ricevuti dagli antenati; eravamo all'inizio delle arti umane, tutti cantavano danzavano ed erano posseduti dagli spiriti quando agivano (non “rappresentavano”) tutti quei gesti, suoni, parole, atletismi, erotismi, segni e colori che poi si sono differenziati e specializzati nelle diverse arti; eravamo anche all'inizio indifferenziato della storia dei ruoli sociali dei poteri che poi è cresciuta ramificandosi (legislativo, giudiziario, esecutivo e anche quello catartico dell'arte e della religione di cui lo sciamano era attore e regista).

Sono in molti a pensare e scrivere che oggi, uscendo dall'età del ferro (che ci ha accompagnato dalla preistoria alla chiusura delle grandi fonderie) e passando all'età del silicio (il computer e i pannelli solari: il piccolo col cosmico, l'individuale col collettivo globale) si vada verso nuove forme di olismo e sincretismo, di nuova oralità.
Il discorso è bello e immenso, ma qui lo interrompo e lo lascio continuare al lettore perché il rischio di banalizzarlo è facile; come se non bastasse mentre scrivo (Italia, inizio 2011) i tre poteri civili sono ancora in balia di un fattucchiere televisivo molto teatrale in gesti e copioni, che tuttavia è all'antitesi esatta dell'antropologia teatrale fondata sull'uomo, sul corpo e sulle microsocietà; proprio non vorrei che fosse quello il ponte tra le due epoche.
Spero anzi che internet e i nuovi media piccoli e diffusi, passando dai mass media ai personal media, ci aiutino a passare da una cultura individuale massificata a una cultura collettiva individualizzata.
Questo ci riporta alle competenze extrasceniche del teatrante: chi è abile dal vivo col corpo e con la voce, può diventare abile anche in digitale?
Cioè: può essere capace di separare il suo gesto (ruvido, sacro ed immediato) dall'atto del farlo rendendolo successivo, profano e perfezionato, senza perderne il senso? può separarsi dalla realtà del proprio corpo e recitare per l'immagine che vedrà dal di fuori (in un video, in una foto, in qualsiasi forma di specchio digitale in cui lui è il pubblico di se stesso) separato nel tempo e nello spazio dalla relazione diretta genuina tra lui e il pubblico?
Ancora: può digitare su una tastiera delle parole che vivranno prive di fiato, capaci di avere un ritmo e una cadenza anche se sono senza voce?
Diciamoci tranquillamente che sono alfabeti diversi, dissimili, lontani. Forse incompatibili, perché per trasformare in un bit (un treno astratto di zeri e di uni) quello che Barba chiama “il corpo-mente dell'attore”, occorre alienazione, occorre l'opposto diametrale di ciò per cui l'attore si allena tutta la vita. E allora, come la mettiamo? Sicuramente una buona parte dei teatranti possono abitare volentieri questa schizofrenia; combinare minimi e massimi tecnologici è una delle nuove strade; giocare con video, proiettori, registrazioni audio da anni non è più una novità. 

La nuova multimedialità del teatrante

Se mai si pone il problema dell'eccellenza, o almeno di una buona qualità comunicativa, di schede, foto, blog, video, trailer, volantini, comunicati stampa, ecc. Qui si pone un altro confine, quello tra Arte e arte, tra il campo della propria ricerca espressiva ed artistica (in cui si esplorano i confini dei codici e si sfida la comprensibilità mainstream per generare nuovi significanti) e la pragmatica di quelle che di solito chiamiamo arti minori: un volantino si deve capire, un sito si deve poter navigare, una foto deve dare un'idea, eccetera.

Nel nuovo secolo entra chi impara a pensare insieme, a sentire insieme. E’ l'era dell’informazione condivisa e del pensiero connettivo, che nel mondo digitale sta attuando una rivoluzione silenziosa ma sconvolgente, una delle poche cose belle che stanno succedendo. Si tratta di usare i nuovi media non per dire o propagandare, ma per pensare insieme.

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